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GIOVANNI SCOTTI

dal testo critico "Fantasmagorie d’iniziazione", nel libro fotografico "La città del disincanto" edito da Rogiosi, 2015:

"La scelta di rappresentare un luogo ormai morto alla ragione che lo aveva creato e fatto vivere, la decisione di incontrare ancora il tempo ormai svanito dell’infanzia fotografando la visibile rovina delle figure che avevano magicamente animato le prime immagini della memoria significa affrontare il nodo originario del mondo dell’uomo e di ogni uomo che, come Scotti, cerca una nuova immagine del mondo.

[...]

Vladimir Propp ci ricorda che il racconto di fate incomincia con una menomazione o con un danno arrecato a qualcuno … oppure col desiderio di possedere qualche cosa … e si sviluppa attraverso la partenza del protagonista dalla casa paterna, l’incontro con un donatore che gli offre il mezzo fatato … per mezzo del quale egli trova l’oggetto delle sue ricerche.

Il danno subìto, la sofferenza a cui cerca di porre rimedio Giovanni Scotti attraverso la propria opera è la crisi senza apparente via d’uscita in cui versano Napoli e l’Italia. L’esoterico architetto del Giardino di Bomarzo fece scrivere su una pietra la frase Sol per sfogare il core, nella consapevolezza che è il dolore a donare la forza che permette di superare la prova continua dell’esistenza umana. E’ l’incontro con il dolore della passione a offrire in dono a ogni uomo e a ogni artista, sincero come Giovanni Scotti, lo strumento per trovare non quello che ormai è per sempre perduto, ma la luce capace di illuminare e dare ragione al viaggio della vita.

La fotografia di Giovanni Scotti è frutto di un lungo processo e di un consapevole confronto critico tra l’identità della genealogia nazionale degli autori di Viaggio in Italia e il percorso internazionale dominato in gran parte dal metodo dei Becher e della Düsseldorfer Schule, con l’eliminazione dell’incontro posto dall'evento del vivere, una nuova oggettività che annulla ogni passione e ogni emozione, la sparizione dell’immagine unica e irripetibile all’interno di una sequenza narrativa altrettanto unica e irripetibile. Con lo stesso rigore di Thomas Struth o Candida Hofer, Giovanni Scotti affronta la via della fotografia, ma percorrendola consapevolmente nella direzione opposta, nell’avventura della conoscenza attraverso l’immagine, nell'evento inaspettato e incalcolabile della luce che illumina solo per un istante il tempo e luogo della nostra dimora". (Giovanni Chiaramonte)

dal libro fotografico "La città del disincanto" edito da Rogiosi, 2015:

"La fotografia non è il mio forte.

Ma la tecnica è un mezzo, non un fine.

Neanche il soggetto lo è, è solo un pretesto.

L’immagine è il fine.

E Giovanni Scotti ha creato delle immagini di suggestivo impatto visivo, usando a pretesto Edenlandia, con la tecnica della fotografia.

Aggiungere altro sarebbe pura esibizione letteraria". (Tony Stefanucci)

su "Fuori e all'intorno", dal catalogo della mostra "Meden agan. Nulla di troppo: assenze e i loro spazi di esercitazione", 2016:

"Attraverso questi ambienti urbani, l'umanità è passata ed è trascorsa, per ragione di un nomadismo incerto, lasciando poche tracce "Fuori e all'intorno", segni che sono ormai soltanto materia per l'archeologia.

Il paesaggio, forse volutamente abbandonato, sembra rimpiangere quell'epoca di ripopolamento, una congestione al momento impossibile da ricreare, come un'antica età dell'oro. Vale per queste immagini la sensazione che si conserva per i paesaggi post-bellici, per i luoghi di atavica memoria: un'idea di incompletezza, chiaramente suggerita dall'assenza di limiti, di una fine che possa essere visibile a occhio nudo. Di fatto, utilizzando una formula nota, si può dire che le immagini di Giovanni Scotti si estendano a 'perdita d'occhio', sfuggendo quasi al campo visivo.

La luce è senz'altro l'elemento dominante in queste opere oniriche, in cui la natura consegna un'evanescenza singolare ma realisticamente detta. Qui è evidente il passaggio di una qualche umanità indistinta, che è trascorsa e il cui ritorno è atteso e in questo caso, possibile.

È forse lo stesso tempo della transumanza, di una migrazione stagionale che attinge alla terra e che dunque ritorna a stanziarsi, ancora, consegnandoci una possibilità, la speranza di un rientro che altrove è escluso. Siamo dunque di fronte a uno spazio che attende di essere ricreato, come un lascito, come un'eredità". (Elvira Buonocore)


dal testo critico "Lieux à la recherche d’un signifié (apparement) perdu", nel catalogo della mostra "PARADIS INFERNAUX / ENFERS PARADISIAQUES - PHOTOGRAPHIE ET ARCHITECTURE TRIENNALE #6", 2018:

"Les photographies de Giovanni Scotti sembleraient chercher un signifié perdu ou jamais acquis, mais, en les « lisant » avec attention, elles nous révèlent qu’un signifié pouvant être perdu n’est pas vraiment significatif. Les signifiés « perdables » sont liés à la volonté humaine, qui est changeante et parfois cruelle. Le signifié durable est celui lié à la propre nature du lieu ou au regard critique qu’il convoque, à posteriori.

C’est ce dernier regard qui caractérise le travail photographique de Giovanni Scotti: à travers l’observation de ces lieux vides et cette disparition/absence de l’humain, il soulève des questions de morale, avec cette subtilité de style propre au genre littéraire de la Fable.

En nous montrant ces images, il nous dit sans rien nous dire, il suggère: voici ce que les hommes ont fait ici. Voici ce qui reste. Mais il nous le dit en prenant son temps (d’exposition), avec toute la lumière naturelle techniquement saisissable. Il ne souligne jamais son message, mais il l’efface presque, il l’aveugle. Sa critique se cache derrière une légèreté parfois allégorique: une chaise vide, des personnages figés dans un geste qui ne s’épanouira pas dans l’action qu’il suggère (Edenlandia, La città del disincanto – Still life). Un geste empêché.

[...]

Giovanni Scotti photographie ces lieux-en-attente, ces lieux-déçus, ces lieux-abîmés, en quête d’un vrai signifié, appartenant à leur histoire et problématisant la notion d’usage d’un lieu. Un signifié qu’on pourrait appeller critique.

Dans plusieurs de ses images, on voit Giovanni « jouer » avec la lumière, faire coexister le jour et la nuit, avec des visions paradoxales, qui soulèvent des questions philosophiques. Il ne s’agit pas d’un « simple » discours de dénonciation politique et sociale, son travail est aussi une réflexion ontologique sur l’image et sur l’art.

Ce qu’on voit dans les photographies de Giovanni Scotti semblerait ne pas suffire pour vivre l’expérience de l’oeuvre. On ne peut totalement les « voir », qu’en les enrichissant de leur histoire et du discours du photographe. Grâce à ce regard « complétant », notre lecture prend plus du sens et acquiert une nouvelle perspective. Ce language photographique est dans ce sens très symbolique: aux images correspondent des histoires, des pensées, des actions. Entre la photo et l’observateur qui parvient à la connaître, à la décoder, s’instaure ainsi un rapport privilégié, un vrai lien". (Chiara Zocchi)

su "Cinnamon Heart", dal catalogo del PREMIO INTERNAZIONALE UVA edito da Qui Edit, 2018:

"Saloni e stanze, tavoli e pavimenti la fanno da padroni in un clima da day after, ma senza toni esasperati o malinconici, piuttosto con la nettezza di una cronaca limpidamente basica e acutamente referenziale.

Tutto è già finito, si evince, e la vita è altrove". (Roberto Pasini)

dal testo critico della mostra "Dissipare le nebbie", 2019:

"Gli incontri che facciamo nelle fotografie di Scotti sono apparentemente rappresentati da situazioni pacate, ma la pacatezza è solo apparente. Sono tutte foto realizzate in assenza di visitatori. L’uomo non appare, la sua è un’assenza presente e tangibile. Il luogo vive e come afferma l’artista: «Se è vero che “guardare e vivere sono la stessa cosa”, come ci insegna Antonioni in Deserto Rosso, ecco che lo sguardo può essere determinante per dare nuova linfa alle cose. Svelato il trucco, resta il disincanto, e magari è proprio grazie a questo che si possono cogliere allo stesso tempo l’essenza, la bellezza e il dramma dell’illusione, che è poi la vita stessa». Per entrare a pieno nei suoi lavori non basta uno sguardo sommario, bisogna andare oltre l’apparenza e cercare di comprendere, proprio in controtendenza con certa velocità, il senso pieno dell’immagine. La sua volontà è quella di creare un senso di straniamento nello spettatore che, vedendo vuoti, luoghi normalmente molto affollati, rimane spaesato. [...] Scotti mette in discussione il concetto stesso di illusione rispetto al modo in cui siamo soliti percepire la realtà di questi luoghi. [...] È come se la luce avesse, nella sua ricerca, un valore metaforico, la luce che riesce a chiarire, a dissipare le ombre, a sovvertire lo stato delle cose che appaiono in stallo. Quelli di Scotti sono progetti visivi, ogni immagine è pressoché definitiva già dal momento dello scatto. [...] Finzioni di luce e finzioni fisiche diventano un unicum poetico che non può che riportarci ai giochi dell’esistenza". (Angela Madesani)

dal testo critico della mostra "Cinnamon Heart: Peepshow", 2019:

"Il vero potere è sottile, impercettibile. Ammanta tutto come la luce del giorno, eppure resta invisibile a occhio nudo. Pervade la vita delle persone, anche se nessuno se ne accorge. A porte chiuse, con discrezione, il potere vero decide del futuro dell’umanità. Nelle segrete stanze, donne e uomini diventano allora una variabile, un’idea astratta.

[...]

Le stanze sono pervase ancora da un’aria pregna di gravità. Tempo e spazio paiono sospesi, oppure annullati, come in una dimensione parallela. Si direbbe il giorno dopo una sparizione improvvisa: tutte le persone che abitavano quei luoghi si sono dissolte in un momento, gocce di rugiada evaporate alle prime luci del mattino. Restano stanze ammobiliate, altre vuote, corridoi in penombra. E poi enormi carte geografiche, tavolate per riunioni d’emergenza, scaffali sospesi sul nulla, tendaggi classici, specchi su specchi, sedie e telefoni divelti. La fotocamera di Giovanni Scotti riattiva questi luoghi, facendosi opera di negromanzia. Le stanze ritornano in vita, ma è una vita finta, quella degli zombie. Si fanno ancor più minacciosi dopo il trapasso. E ci accorgiamo, poco a poco, che quelle stanze potrebbero trovarsi ovunque nel mondo. O forse a pochi passi dalla nostra quotidianità". (Diego Mantoan)