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Del filo, degli spilli e del caffè

 

foto di Giovanni Scotti / testi di Danilo Re

— Ogni mese il fotografo Giovanni Scotti propone percorsi, di immagini e parole, che lo hanno portato a incontrare alcune professionalità uniche di Napoli. Persone che credono nel loro speciale mestiere e che a questo hanno consacrato una vita.

Simona sabato si sposa. Tesse le lodi del proprio lavoro, facendo i conti con ago e filo. Lì, sotto la luce di un fioco neon, su quello scanno al banco di lavoro imbastisce una nuvola, bianca, candida. Al civico Centoventuno di Salita Tarsia, lavora di notte. Avvolta da un mantello di stelle, cuce su sé stessa i sogni e le paure della nuova vita che arriverà. Sopraggiunge il giorno e nella stanza irrompe un uomo fortunato. Simona nasconde quanto di bello gli avesse offerto la notte, precipitandosi sui lavori dei clienti che quotidianamente animano il proprio atelier, un po’ casa, un po’ nido. Prepara il caffè. “Per me amaro, grazie”. Aggiunge un presente.

“Viviamo per vestirci” o “ci vestiamo per vivere”, come a dire: scegliamo una volta per tutte cosa vogliamo davvero essere, pratichiamo l’edonismo e campiamo in maniera libera e spensierata. Simona è alta. Ha da sempre avuto problemi con gli abiti non propri, quelli acquistati. Con la stoffa sin da piccola ha sperimentato. Ha provato sulla propria pelle la ricerca, nutrendosi con gusto di ambrosia e creatività. I clienti non hanno la possibilità di nasconderle i propri segreti. Ella è il demiurgo che modella la materia che veste i corpi. Simona fornisce la bozza di un lavoro che sarà consegnato al proprio cliente affezionato. Ritorna al fornello. Ripete meccanicamente i secolari passaggi. Dallo studiolo si ode un sussulto: “Per me zuccherato. Due cucchiaini, grazie”.

Ha studiato i grandi filosofi. Simona cuce e inventa. Accoglie i propri clienti, confidenti, che tra una chiacchiera e l’altra diventano intimi. Instaura con loro rapporti di fiducia. È necessario che ciò avvenga. “Annita, circonferenza torace ottantadue, seno ottantotto virgola cinque, ottantanove, vita settantasette, bacino cento, larghezza vita dietro quarantuno, larghezza vita davanti quarantatre, altezza tra seno e vita sedici virgola cinque, lunghezza gonna dalla vita centododici”. Si legge da alcuni appunti. “Manu, seno ottantasette centimetri, torace ottantacinque, vita sessantasette o sessantotto, fianchi novantadue, altezza vita avanti quarantasei, altezza vita dietro trentotto”. I corpi ci parlano. Simona li ascolta e li interpreta. Ognuno a modo proprio contempla le meravigliose forme della vita. Restiamo affascinati. Poi un odore proveniente dal fornello: “Sarà il caffè. Zucchero di canna?”.

Congiungiamo due o più pezzi di tessuto, pelle, carta o storia. Non è soltanto l’arte del cucito, è la vita. Mettiamo insieme più elementi, separiamo gli stessi e ritorniamo a congiungerli. Indubbiamente, non ci stanchiamo mai di vivere. Imbastiamo per una vita il nostro abito più bello.

Ormai è sabato. Oggi, Simona si sposa. La nuvola, alla quale nell’ultimo periodo ha dedicato le poche ore di sonno rimaste, è stata completata. Ora, se anche sopraggiungesse quell’uomo fortunato nello studiolo e la vedesse china sul bancone completare un’ultima piega, sarebbe tutto finito. È questa la fine di un nuovo inizio. Si dice che porti sfortuna imbastire il proprio abito per il giorno più bello. Simona Napolitano però, che è alta, giovane e bella sfida la sorte. Dal canto suo ha la spregiudicatezza e la saggezza di chi sa che la vita debba essere presa con una buona dose di filosofia e tanto ma tanto caffè.

© 2025 Giovanni Scotti

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