Croce e delizia
foto di Giovanni Scotti / testi di Giovanni Chianelli
— Ogni mese il fotografo Giovanni Scotti propone percorsi, di immagini e parole, che lo hanno portato a incontrare alcune professionalità uniche di Napoli. Persone che credono nel loro speciale mestiere e che a questo hanno consacrato una vita.










Benedetto Croce mette fame. E non tanto, e non solo, fame di cultura. No, quello che scatena il filosofo di Pescasseroli è proprio appetito. Un languorino che si può spiegare solo con l’aneddotica che lo riguarda.
Innanzitutto bisogna sapere che era un mangione. Uomo di corporatura notevole, di curiosità vorace per tutto e dunque anche per la cucina. E poi gli intellettuali hanno spesso un debole per la tavola.
Quelli che lo hanno frequentato dicono che non era difficile incontrarlo di mattina, dopo che era sceso dal palazzo sul Decumano inferiore, nel tratto di strada che ora porta il suo nome, intento a sbranarsi qualche leccornia nelle varie rosticcerie della zona: un panzarotto di patate e provola, un mastunicola, meravigliosa focaccia condita con strutto, pepe e cacio. Ma Croce andava pazzo soprattutto per la pizza fritta. Una parentesi: le specialità napoletane come margherita, caffè, babà e pastiera hanno conquistato il mondo, lo sanno tutti; puoi trovarne ormai di decenti anche nel resto d’Italia, perfino in America.
Ma la vera regina della cucina partenopea, pressoché irreperibile e non replicabile fuori provincia, rimane la pizza fritta. Mai sentiti neanche i tentativi, di imitazione: perché nella sua semplicità ha qualcosa di eccezionale. Un disco di pasta ripiena di ricotta, provola e cicoli, ovvero gli scarti della carne di maiale.
Accompagnata a un buon bicchierino di Marsala, che si dice ne favorisca la digestione per proprietà organolettiche attutendo gli effetti dell’olio in cui viene cotta, restituisce il vero sapore della tavola napoletana, quello immortalato, ad esempio, nell’Oro di Napoli di De Sica. Dove tra le grazie della Loren e le pizzelle fumanti, bisogna davvero trovare uno capace di cambiare canale, anche se l’ha visto mille volte. Chiusa parentesi.
Insomma si dice che Croce, spesso, fosse solito calmare l’appetito con queste impostatelle, qualcosa di simile eppure di lontanissimo dalla moderna pratica dell’aperitivo. E, come tutti gli uomini di pensiero, poco si curava
di proteggere la camicia dagli schizzi di olio e pomodoro. Perciò, tornato a casa, riceveva sistematicamente una solenne “cancheriata” dalla moglie, a cui non riusciva a reagire.
Diverte immaginare questo altissimo cattedratico, temuto e rispettato dalle migliori teste d’Italia e d’Europa, in difficoltà come un ragazzino per essersi sporcato la blusa col pomodoro.
E dire che Benedetto Croce non frequentava Fernanda. Chi è? Voi provate a chiederlo ai Quartieri Spagnoli. Provate a vedere che succede. Perché non ci sono dubbi: quando in quella zona, dove “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, domandi della signora della pizza fritta chiunque volge lo sguardo verso l’angolo tra via Concezione a Montecalvario e via Speranzella. Come se fosse la Mecca. Sì, è proprio di un luogo sacro che stiamo parlando. Con tanto di insegna votiva: “Fernanda, pizza fritta la mattina e la sera”, recita il sobrio cartello in campo bianco. Riportando gli oneri: tre euro la grande, quella tonda a ruota di carretto, due per la piccola, la mezzaluna, da altre parti chiamata “battilocchio”.
“Volete fare un’intervista? Qua ci sta poco da chiedere, il modo in cui lavoro è tutto sotto gli occhi, giuvinò”. L’esordio è tosto. Tocca mettersi in riga e attenersi al mandato. Come diceva, tutto sotto gli occhi? Vero. Una stanza di sei metri quadrati fronte strada. Un basso. Due tavolini, un frigo e un banco di marmo. Con sopra solo quattro ingredienti: pomodoro, cicoli, provola e ricotta. A vederla, una crema. “Mi arriva tutti i giorni dai Monti Lattari”, dice Fernanda iniziando a sciogliersi. E questo succede da un bel po’: “Cento anni”, precisa. Lei ne ha settantasette. Ben portati, tra l’altro. E qui i conti non tornano. “Iniziò mia madre, poi solo due dei suoi dodici figli hanno seguito le sue orme”. Dodici figli? “E che volete, all’epoca non c’era molto da fare, la sera”. Sorrisi.
“Mio padre invece faceva il nevaiuolo. Tutt’altro ramo”. Il Ne? “Ne-va-iuo-lo”, scandisce come se si rivolgesse a un idiota. Un cacciatore di yeti? Bisognerebbe proporlo ai colleghi della rubrica “Mestieri di salvezza”. Invece no, è un lavoro pacifico e napoletanissimo: “Quello che portava il ghiaccio. Infatti da tutti siamo conosciuti come nevaiuoli”. L’immarcescibile Fernanda delle nevi iniziò segnando i nomi dei creditori: “Mamma faceva la pizza a otto giorni, come nel film di Sofia Loren”. Allora è vero, “l’Oro di Napoli” non mentiva. “Poi passava la domenica per esigere il dovuto. Mentre gli altri stavano pranzando, per essere sicura di trovarli in casa”.
Guardo la caldaia piena d’olio che, come nel film, si trova sull’uscio del basso. “Prima avevo quella di mamma, questa è giovane, ha vent’anni. Vedete? Ancora non si è fatta nera”. Perché, se è nera è meglio? “Sì, la frittura viene perfetta. Mentre questi”, dice brandendo due enormi arnesi, “hanno cento anni”. Sono la avotapesce, la schiumarola, e lo spiedo, per aiutare a girare l’impasto nell’olio bollente. Lei usa quello di girasole, gli altri semi danno cattivo odore. Lo cambia tre volte a settimana, poi viene un addetto a prelevare quello esausto.
Come resistere? Una leggenda. Profumata, croccante fuori e morbida dentro. La classica ha cicoli ricotta e provola, più il pepe. “Il pomodoro l’ho dovuto aggiungere da poco, alla gente piace”, dice con sguardo rassegnato. Capito? Il pomodoro è trattato come cibo moderno e potenzialmente diabolico.
Ma Fernanda è filologica: il pomodoro, in effetti, sono solo pochi secoli che è arrivato da queste parti.
“L’altro giorno sono stata costretta a farne una con wurstel e sottilette: che schifo”.
Ma sì, un po’ di razzismo non guasta. Così come una certa vanagloria rispetto ad altri colleghi: “A fare la margherita che ci vuole? La metti in forno e arrivederci. Qua, invece, ci vuole una certa mano. La frittura bisogna seguirla”.