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I maghi dell’elettronica

 

foto di Giovanni Scotti / testi di Giovanni Chianelli

— Ogni mese il fotografo Giovanni Scotti propone percorsi, di immagini e parole, che lo hanno portato a incontrare alcune professionalità uniche di Napoli. Persone che credono nel loro speciale mestiere e che a questo hanno consacrato una vita.

Geloso, Voce del Padrone, Telefunken, Sinudyne Kennedy, Allocchio Bacchini. Nomi ormai difficili da sentire. Ma che prima si facevano sentire, eccome. Sono le griffe di radio, giradischi e televisioni di una volta. C’è qualcuno che si è messo in testa di continuare ad averci a che fare. Si chiama Vincenzo Giannantonio e porta avanti un esercizio inaugurato più di mezzo secolo fa dal padre. Come si chiama questo lavoro però resta un mistero. Ogni definizione appare come superata appena la si adotta.
Specialista in radio d’epoca? Mah. Siamo a calata Trinità maggiore, poco prima di piazza del Gesù. Già da fuori si capisce che non è un negozio qualunque. Saranno le vetrine che hanno rinunciato ad essere ammiccanti per restare funzionali. Appena entrati si è accolti da un dualismo che resterà immutato per tutta la chiacchierata.

L’essenzialità operosa di Vincenzo opposta al sorriso accogliente della moglie. Subito colpisce una scritta, “Riversaggi”. Un messaggio che va subito al cuore del concetto. Paradossale che il termine, in via d’estinzione, tanto che Word subito lo segna in rosso, proprio oggi scopra un’attualità precisa.
Tuffare il suono e l’immagine del passato nella tecnologia e nella vita di oggi. Quanti ci pensano?
A considerare la mole di lavoro di Vincenzo, molti. Allora, qui si fanno riversaggi?
A un secondo colpo d’occhio si resta colpiti dalla quantità di pezzi sparsi nella bottega: migliaia, di ogni forma, design e marca. Impilati o accatastati, riempiono l’intero spazio del negozio. Hanno la priorità e si vede. Sono così tanti a cercare l’antico? La domanda sembra cadere nel nulla, insieme alla distinzione, annosa, tra analogico e digitale. Vincenzo avrà sentito questa discussione troppe volte, nella vita. Viene in mente qualcosa. Perché, in sintesi, l’analogico è legato a qualcosa di concreto, il digitale all’astratto: uno riproduce, l’altro simbolizza. Col quadro Ceci n’est pas une pipe Magritte sembra però dirci che entrambe le indicazioni nascondono dei limiti: la scritta (digitale) ci avverte infatti che il disegno della pipa (analogico) non è in fondo una vera pipa.

Chissà se in omaggio a Magritte, però il nostro Giannantonio sembra voler sfumare la polarizzazione: “Noi qua trattiamo tutto”. Però soprattutto roba antica. Lui è costretto a cedere, quasi di malavoglia, tradendo una preferenza: “La passione per l’analogico non si è mai spenta. E non credo sia solo per un fatto di nostalgia, o di superiorità del suono. È che molti hanno capito che questi materiali sono fatti per durare”. Poi spiega con precisione un concetto che di solito è affidato a una voce di popolo: “La tecnologia di adesso è concepita, già dal nascere, con un tempo programmato di consumo.
Lavatrici, automobili e macchine fotografiche. Certamente anche gli impianti audio e video. Ci sono schede che calcolano con assoluta attendibilità il numero degli impieghi, prima della morte del prodotto”. È il consumismo, bellezza. Mentre qui si trattano soprattutto macchinari seri, potenzialmente immortali. Con dei design stupefacenti. Allora, siete restauratori di impianti? “Forse. Anche, si”.

Vabbè. Questo negozio ha un che di magico: cambia davanti agli occhi ogni minuto che passa.
Un dettaglio che prima sfuggiva di colpo diventa protagonista della scena. Perciò finora è stato impossibile racchiudere in un sol termine che genere di professione sia. Adesso, da una nuova angolazione, sembra di essere caduti in un film di Tornatore o di Scola: macchine da presa Super 8 e decine di proiettori, molti della marca Pathé. Sono fantastici. Attorno, una cornice fatta da locandine di vecchie pellicole. Vincenzo racconta che è una delle loro specializzazioni. Piano piano inizia a sbottonarsi, bene. “Siamo i consulenti per tutto il sud Italia della Christie, una delle più diffuse marche di proiettori analogici per il cinema.

Ci occupiamo di diverse sale tra Campania, Puglia e Calabria”, dice. Allora lavorate anche con la tecnologia di oggi? L’uomo sbuffa e continua a lavorare, la moglie sorride di nuovo. Non si capisce più molto. “Una volta”, dice lei, “lavoravamo molto alle rassegne estive di cinema all’aperto. Anzi, il primo inaugurato a Napoli a Palazzo Reale lo abbiamo gestito noi”. Ok. Dunque, il duo, che si sta rivelando pressoché diabolico, si occupa pure di promozione culturale. “Ma adesso non più”, fa lui. Assume un’aria amara e continua: “Volevamo fare molte cose. Uno dei nostri progetti era allestire un museo del cinema. Lo sa che Napoli è stato il primo centro italiano di produzione cinematografica?”. Vero. Sembra che abbia preceduto Roma e le città del Nord di parecchi anni.
“E sarebbe stato giusto dotarla di un posto del genere. Con tutti i locali che ha il Comune. Sa che hanno risposto?”, chiede provocatoriamente, brandendo un cacciavite con un fare che se non è minaccioso resta, come dire, molto deciso. “Che il comune non ha alcuno spazio a disposizione. Tutte scuse. È che questa città non ne vuole sapere di misurarsi con i propri primati”. Come non concordare, al di là del cacciavite?

Basta spostarsi di mezzo metro e si cambia di nuovo. Adesso la scena è tutta di un bellissimo televisore.
Un CGE degli anni ’60, di quelli che una volta prendevano uno o due canali. Vincenzo garantisce che adesso è in grado, tramite la sua abilità, di captare anche il digitale terrestre. Sarebbe suggestivo guardare un film di oggi, magari uno di quelli tutto effetti speciali e 3D, in questo meraviglioso ed elegantissimo apparecchio.
Rigorosamente in bianco e nero, ovvio.
La definizione è altissima, anche se ad appropriarsi del titolo di “High” sono i dispositivi di oggi.
Ma qui non conta. Gli opposti, dalla cordialità della signora all’ironia burbera di Vincenzo, dall’analogico al digitale, dal barocco dei grammofoni alla spartaneria di una scheda madre, si confondono e si aiutano a vicenda. Resta solo un dubbio: che lavoro è. Come si chiama. “Boh”, alzano entrambi le braccia.
Insomma: restauratori, consulenti, promotori, riversatori, riparatori. In una parola, maghi.
Maghi dell’elettronica.

© 2025 Giovanni Scotti

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