Sacri Origami
foto di Anna Cinese* (Giovanni Scotti) / testi di Donatella Di Palma* (Danilo Re)
— Ogni mese il fotografo Giovanni Scotti propone percorsi, di immagini e parole, che lo hanno portato a incontrare alcune professionalità uniche di Napoli. Persone che credono nel loro speciale mestiere e che a questo hanno consacrato una vita.










San Gennaro mi ha sempre fortemente affascinato. Credo che innanzitutto il motivo risieda proprio in quell’aurea di sacralità che la storia gli abbia consegnato. Non è tutto qui, tuttavia. Qualcos’altro attira la mia fascinazione, facendomi cadere in uno stato che oltremodo definirei ipnotico. Appartiene più che altro a mere considerazioni estetiche, di gusto personale. Ebbene, mi affascina la riproposizione formale del Santo in questione. Ho ammirato sculture a tutto rilievo di San Gennaro in legno, leghe metalliche o argilla. Ma mai e poi mai avrei considerato l’eventualità di osservare una sua riproposizione ottenuta con la tecnica dell’origami, un’arte che ha origini lontane, con la quale il provetto origamista piega la carta, secondo precisi schemi geometrici, alla propria volontà. Di affascinamento in affascinamento, mai sarei arrivato a credere che Napoli potesse vantare tra la propria prole un maestro origamista.
“Questa passione nasce essenzialmente per caso”. A parlare è Francesco Cirillo, dal proprio laboratorio nel quartiere di Fuorigrotta, tra scatole e statue di santi, e non. “Una persona mi mostrò una creazione. Iniziai allora a spulciare in internet, provando a dare forma ai primi oggetti”. Da autodidatta, con un costante studio delle tecniche, Francesco accresce il proprio bagaglio di esperienze, contribuendo al miglioramento della manualità. In quest’arte vale la massima del “piegare bene”, diversamente c’è soltanto il “piegare male”, un’accusa della quale vengono tacciati i novelli origamisti o i presunti maestri. Prosegue, da sottofondo musicale al racconto, una lunga carrellata di brani rock. Un’insegna campeggia all’ingresso della stanza nella quale Francesco si racconta. Il cartellino recita “Aula professori”. Con sicurezza pondero che sia un cimelio risalente alla beatitudine della prima giovinezza del Maestro. Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!
Ci spostiamo nella stanza dalla quale proviene la musica. Entriamo su di un assolo del chitarrista. Questo è il vero laboratorio, l’autentico antro creativo di Francesco. Prima che arrivassi era intento a spalmare della colla su delle valigie, diremmo oggi, dal gusto vintage. Vi attaccava sui lati esterni i ritagli di vecchi fumetti di supereroi. Mi dice che i bagagli serviranno per trasportare il materiale che un’azienda gli ha commissionato. È un perfezionista. Tra una spennellata e l’altra, continua a raccontare il proprio percorso creativo. Con un passato trascorso nel mondo della ristorazione tra le mille e più strutture ricettive disseminate per l’Europa, Francesco nove anni fa decise di voltare pagina. Un primo ciclo doveva necessariamente terminare perché il corso della vita prendesse pieghe differenti. Guardo con stupore alcune sculture. La geometria è onnipresente. “Ho un foglio di carta. Qualsiasi cosa io ne faccia sarà sempre matematica. Da questo io posso ricavare tutta la geometria esistente”. Mi mostra un foglio, i cui contorni non sono perfettamente definiti. Mi aspetto che Francesco mi mostri dei contorni squadrati. “Con questo foglio non ho riferimenti. Tuttavia, ho la possibilità di tracciare una linea”. Piega il pezzo di carta più volte. “Allo stato delle cose, ho già ottenuto quattro angoli di novanta gradi. D’ora in poi potrò ricavare la totalità dell’esistente”.
Aggiunge: “Ovviamente, tutto è ricavabile. Cambiano le formule”. Francesco ammette che la sua fortuna risiede nella buona memoria. “Non avendo imparato le note musicali, so comunque suonare uno strumento”. Creazioni su creazioni la fantasia vaga spensierata in un mare di personaggi e costruzioni. Il gusto è continuamente stimolato. Lì ci sono gli orecchini, lì ancora draghi sputafuoco. Manca Roberta, che aiuta il Maestro nelle quotidiane piegature. La curiosità mi assale, cercando di carpire ogni architettura presente nella sala. Intanto, Francesco continua a ripassare una sostanza biancastra sulle valigie.
Infine, l’occhio cade su di una mitica rappresentazione, sinceramente apprezzata. Francesco mi guarda e, con un sorriso furbastro, fa: “Ah, hai visto San Gennaro!” Esordisce, accentuando l’inflessione tipicamente napoletana del proprio esordio. Dopo la scuola giapponese, abbiamo anche la scuola napoletana. Ride. M’invita a prendere l’opera con le mani. Mi ritraggo. “Voglio che le persone tocchino con mano il mio lavoro. Sono affezionato non all’opera, bensì al percorso che mi ha condotto ad ultimarla. L’origami in sé è effimero. Tende a consumarsi e a finire. Ed è giusto che sia così”.
*Per questo numero, interamente dedicato alle donne, i redattori uomini e il fotografo hanno deciso, simbolicamente, di firmarsi tutti con pseudonimi femminili.